Comune di Moscazzano


Palazzo San Donato

Dai Benvenuti ai Martinitt

A nord di Moscazzano si stende, in mezzo a una infinita distesa di campi, uno splendido, grandioso cascinale, dominato da un antico torrione che rivela tutti i suoi anni, affiancato da un piccolo oratorio, rimesso a nuovo di recente. é il podere di San Donato, possedimento - in passato - dei conti Benvenuti, signori di Montodine e proprietari di vasti fondi anche nel vicino territorio di Moscazzano.
La storia del pregevole insediamento inizia nella seconda metà del secolo XV, quando il duca di Milano, cacciato Giorgio Benzoni, signore di Crema, confinò a Montodine Agostino Bevenuti (figlio di Tommaso), esponente di una delle famiglie più ricche della città. Costui (+3.6.1480) acquistò vasti possedimenti appunto a Montodine, a Ripalta Arpina e a Moscazzano.
In quest'ultima località costituì un fondo di 678 pertiche, costruendovi il grande cascinale che, con successive modifiche, è giunto fino a oggi. La carta Correr, databile tra il 1482 e il 1497, lo rileva puntualmente, indicando possibilità di foraggiamento, secondo l'uso di quel tempo per cui i nobili possessori di fondi ne traevano fieni per le cavallerie dei numerosi eserciti di stanza in Lombardia.
I Benvenuti vi edificarono subito anche l'oratorio di cui abbiamo una testimonianza eccezionale nella carta geografica dei Domini Veneti di terraferma dipinta nel 1589 da Ignazio Danti nel palazzo vaticano. Se in quell'anno la chiesetta veniva citata in una carta così importante, dobbiamo supporre che avesse già una certa vita alle spalle. Il che conferma la sua costruzione ai tempi dello splendore dei Benvenuti.
Dobbiamo tuttavia ricordare che nel 1528 Moscazzano fu interessato anch'esso al passaggio dei Lanzichenecchi che, di ritorno da sacco di Roma dell'anno precedente, per vendicare la partecipazione di Venezia alla Lega Santa, distrussero varie località confinanti con il milanese, tra cui Moscazzano, portandosi dietro anche la peste. Non è fuori luogo pensare che la stessa sorte toccasse anche a San Donato.
In seguito la storia del podere procedette pari passo con quella del palazzo di Montodine, essendo medesimi i proprietari, anche se dobbiamo dire che i Benvenuti non ebbero dimore all'interno del paese di Moscazzano, appannaggio invece dei Gambazzocca (e in seguito dei Marazzi), degli Obizzi e dei Vimercati. Una casa padronale, per il controllo dei fondi, se l'erano allestita a San Donato, all'interno della torre che alcuni autori ritengono di origine medioevale. Non abbiamo molte altre notizie sull'insediamento, se non quelle relative all'oratorio di San Donato che, versando in forte degrado, venne demolito dal condottiero Mario Benvenuti tra il 1612 e il 1638 e fu fatto ricostruire tra il 1705 e il 1708 dai figli (ramo di Curzio). La proprietà del podere risulta essere nel 1711 dei Benvenuti del ramo di Paride, prima di Manfredo figlio di Alfonso che permise - in quell'anno - di porre nell'oratorio una lapide a ricordo del cappellano don Giovanni Chiesa, e poi del figlio postumo Manfredo (1731-5.8.1815), come risulta dalla tavola catastale del 1815, che tuttavia si riferisce ad anni precedenti.
Infatti, il podere di San Donato, alla fine del secolo XVIII, risulta essere proprietà del Convento dei Padri Eremitani di Sant'Agostino, anche se non siamo ancora giunti a trovare il documento del passaggio nelle loro mani. Certo dovette essere Manfredo postumo a donarlo (o venderlo?) ai frati. Sta di fatto che, pochissimi anni dopo, soppresso il convento con decreto della Repubblica Cisalpina, il 20 luglio 1797, tutta la proprietà viene devoluta all'Ospedale Infermi di Crema.
Quest'ultimo, nel 1966, vendette il tutto (cascinale, oratorio e fondi per complessivi ettari 70.40.10) al Pio Albergo Trivulzio, Orfanatrofio Maschile di Milano detto "I Martinitt" per cento milioni di lire. L'ospedale di Crema venne nella decisione di alienare il podere perché impegnato nella costruzione della nuova sede dell'ospedale e anche perché "il medesimo [podere] - come si legge nel contratto - presentava necessità di esecuzione di opere di valorizzazione agrarie che l'Ospedale Maggiore non più attualmente eseguire." La nuova proprietà rinnovò la locazione, l'anno successivo, alla famiglia Severgnini che conduceva i fondi dai primi decenni del '900 e li conduce tuttora.

La visita

Il grande cascinale di San Donato è posto in lunghezza da est a ovest, per circa 120 metri. A nord corre la strada comunale omonima. L'oratorio dedicato a San Donato vescovo e martire è a occidente della cascina, staccato da essa con la facciata rivolta verso nord. Davanti, una piccola piazza.
Interessante la fronte nord del cascinale. La metà verso occidente è ancora di fattura antica. Presenta infatti un alzato in mattoni a vista (abbastanza degradato) con un basamento leggermente a scarpa e relativo cordulo all'altezza di circa due metri. Doveva essere così l'intera fronte ancora nel 1842, secondo la mappa catastale di quell'anno. In seguito la metà orientale venne rifatta, come indica la successiva del 1901. Vi sono state costruite, in linea, alcune abitazioni di contadini, oggi in parte ristrutturare. La metà più antica (di circa 60 metri) con il basamento a scarpa è traforata da finestre irregolari, alcune delle quali rompono il cordulo antico e sono evidentemente posteriori. In alto una semplice cornice di gronda.
Nella fronte interna che da sulla vastissima aia corre un bellissimo, ininterrotto portico rurale sorretto da pilastri in cotto, oggi adibito a diverse funzioni, da quella abitativa a quella di deposito foraggi.
Il cordulo della fronte nord continua anche su quella occidentale della cascina che si apriva un tempo con un portone ad arco e chiave in cotto, oggi tamponato, in quanto il muro di cinta, esistente ancora nel 1901, è stato demolito, aprendovi una larga breccia che immette direttamente nell'aia. Su questo lato occidentale resta oggi un basso brano degradato di edificio, adibito a rimesse che va ad agganciarsi all'antica torre.
Quest'ultima è nell'angolo sud-occidentale dell'insediamento agricolo. Lungo il lato sud corre il breve segmento dell'antica probabile casa del fattore alla quale si agganciava, secondo la mappa del 1842, un'altra lunga serie di edifici rurali, certamente di servizio. Sono stati demoliti prima del 1901 e sostituiti con un muro di cinta, abbattuto in tempi più recenti per far spazio ad una moderna stalla. Anche la fronte orientale è stata notevolmente modificata con la demolizione di edifici preesistenti e la costruzione, prima del 1901, di un'altra stalla.
L'interesse storico-artistico del complesso si concentra dunque nell'angolo sud-est dove troviamo l'antica torre e il brano di casa del fattore. La torre, secondo il Perogalli, risulta dal riutilizzo dei resti di un complesso precedente. Il suo aspetto "è abbastanza simile a quello della torre Vimercati di Torlino, Azzano, riproponendo il caso delle tarde costruzioni castellane convertire al loro decadere funzionale, in abitazioni signorili temporanee, connesse con gli aviti possedimenti fondiari delle famiglie nobili del territorio." La tesi non è dimostrabile, anzi - secondo la citata carta Correr - improponibile.
La torre, che versa oggi in grave degrado, è di pianta sostanzialmente quadrata. In alto ha un coronamento a mensole, sopra il quale corre una fascia di sostegno che reggeva anticamente una probabile merlatura, ora sostituita da una copertura a quattro falde. Sopra - nell'angolo nord-occidentale - s'alza un campaniletto aperto da quattro finestrelle ad arco, con tettuccio in coppi, croce e bandiera segnavento in ferro battuto. All'interno è conservata una campanella con la scritta: Sancta Maria, ora pro nobis, 1634. Serviva per scandire i tempi del lavoro e del riposo del contadini. Oggi è usata anche come campana del vicino oratorio.
Delle quattro facciate della torre, salvo quella occidentale che è totalmente in mattoni a vista, le principali (a nord e a sud) sono ancora coperte da un intonaco ampiamente deteriorato e caratterizzate (salvo interventi moderni di tamponamento) da tre file di finestre, per la gran parte cieche (salvo quelle centrali) e incorniciate con elementi di tipo sei-settecentesco. In alto tre finestrelle quadrate a guisa di abbaino (nella facciata sud due sono aperte). Nella fronte orientale, alla quale s'aggancia la casa padronale, troviamo una sola finestra. In quella occidentale, il mattone a vista permette di leggere la storia di successive modifiche. Notiamo, ad esempio l'accenno a un doppio marcapiano collegato con brevi lesene e un'apertura centrale antica, in seguito tamponata. Una piccola apertura verso sud è posteriore. Come s'è detto il Perogalli trova nella torre somiglianze con quella di Azzano, la quale tuttavia è di pianta rettangolare. Presenta comunque analoghe cornici alle finestre.
All'interno la torre ha un solo grande ambiente per ciascuno dei primi tre piani (era l'abitazione dei conti) e quattro stanzette nell'abbaino (molto probabilmente della servitù). La scala sale lungo la parete occidentale con doppia rampa parallela in cotto e senza elementi che ne dimostrino l'antichità. Salvo la sala del piano terra (parte dell'abitazione dei signori Severgnini) che ha un bel soffitto a cassettoni con travi passasotto e cornice a dentelli, tutto il resto della torre versa ormai nel più totale abbandono e risulta impraticabile. Il Groppelli vi ha visto ancora, una ventina d'anni fa, tracce di fregi e di affreschi con bei soffitti a cassettoni. C'erano forse nella sala del piano terra, oggi ritinteggiata, viste le analoghe testimonianze rinvenute nel Cremasco.
A fianco della torre, agganciato alla parete orientale, il breve brano della casa del fattore che si innalza, senza particolarità fino a tre quarti della torre. Presenta i partiti delle due facciate nord e sud scanditi da tre file di aperture: al piano terra due porte e due finestre, poi una fila di tre finestre e quindi una di tre abbaini. L'interno è ordinato con due sale per piano, divise dalla scala di servizio.

Testo tratto da ("Villa San Donato", Nuovo Torrazzo, di Giorgio Zucchelli )


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