Territorio
IL TERRITORIO DI MOSCAZZANO
Del: Prof. Francesco Albergoni
E' difficile parlare di un territorio di modesta entità, come è quello che corrisponde all'amministrazione comunale di Moscazzano, nel contesto di una grande pianura ignorando tutto ciò che è, e che è stato, in una più ampia area sia dal punto di vista naturalistico (geologico e biologico) che, soprattutto, da quello socio: economico, fattori strettamente legati tra loro nel cambiare, influenzare, modulare l'ambiente come oggi lo conosciamo. Ciò che verrà detto in queste righe non si riferisce quindi solo al territorio dei Comune di Moscazzano, ma anche ad una più ampia area di cui Moscazzano può essere considerato il "centro"; geografico, ambientale ed umano.
Vi è poi un altro aspetto che può, se non chiarito, creare degli equivoci.
Spesso i termini "territorio" e "paesaggio" vengono usati come se avessero lo stesso significato. I due termini si riferiscono invece a due concetti distinti. Il territorio può essere definito come un'area della superficie terrestre modellata nel tempo da una serie di fattori climatici (temperatura, intensità luminosa, piovosità, regime dei venti, presenza di fiumi, laghi ecc..), biologici (vegetazione e fauna) e umani (agricoltura, edificazioni di città, regimazioni di fiumi ecc..). Il territorio dunque è un oggetto che si può descrivere in modo preciso analizzando tutte le componenti misurabili che lo formano.
Il paesaggio è, secondo alcuni studiosi, la struttura dei territorio che l'uomo può percepire, con particolare riguardo alla vegetazione. Secondo altri autori il paesaggio è, invece, la percezione soggettiva dei territorio. In questa ottica il paesaggio, come tale, non esiste se non è percepito dall'uomo. Mentre gli aspetti dei territorio possono essere anche sintetizzati oggettivamente in modo più o meno preciso (ad esempio territorio desertico, forestale, agrario, oppure desertico-steppico-freddo, forestale tropico-equatoriale, agrario-cerealicolo) facendo cioè riferimento a dati rilevabili e noti, il paesaggio sfugge alle classificazioni, anche approfondite, perché può apparire diverso dando emozioni, anche contrapposte, a chi lo osserva. Un giardino ad esempio è una modificazione artificiosa dei territorio, è il tentativo di creare un paesaggio a seconda dell'ispirazione culturale.
Se avessimo sorvolato il nostro territorio, alla fine dei primo millennio d.C. non lo avremmo certo riconosciuto. Una gran foresta, qua e là qualche radura miseramente coltivata, qualche gruppo di capanne e, vaste aree invase dall' acqua. L'Adda, ben visibile come un lungo serpente, scorreva formando ampi meandri e poteva ricordare un percorso di slalom sulla neve fresca. A nord, quasi a perdita d'occhio, un lago-palude. Una lunga striscia di terra a forma di ampia curva a sud dei lago ed a nord dell'Adda, separava il lago stesso dalla valle dei fiume. Era su questo lembo di terra che si potevano vedere piccoli gruppi di abitazioni. Tra questi ciò che rimaneva di piccoli insediamenti militari romani, ormai abbandonati, come Rubbiano o Moscazzano. La scelta di quel luogo era, probabilmente, dettata da una serie di motivi. Quella porzione di territorio, anche se lunga e stretta, di regola non era inondatadalle piene dell'Adda e risultava leggermente sopraelevata rispetto al lago formandone la sponda meridionale. Era quindi facilmente difendibile e costituiva un percorso transitabile che univa le cittadine fortificate di Lodi e di Pizzigettone. Più a nord l'isola Fulcheria su cui, almeno quattro secoli prima, era stata edificata la città di Crema. La sponda meridionale dei lago Gerundo, perchè di questo si trattava, non era la sola ad essere abitato né, probabilmente, lo era la sola isola Fulcheria. Basti pensare che sulla sponda orientale, tra Camisano ed Offanengo, sono stati rinvenuti reperti di pietra (punte di frecce, pugnali e coltelli da raschiare) molto antichi, probabilmente risalenti al 5.000 a.C., cioè ben 7.000 anni fa ! In quell'epoca gli abitanti delle sponde dei lago Gerundo non erano certo agricoltori né pastori, ma cacciatori che si spostavano frequentemente da un sito all'altro. I dati archeologia indicano in modo chiaro che le foreste erano frequentate da cervi, caprioli e cinghiali. Non si hanno dati che possano indicare che anche nell'area meridionale dei lago Gerundo vi fosse presenza di gruppi di cacciatori ma, proprio per la loro vita di nomadi, non lo si può escludere. Troppo pochi sono i dati archeologia per poter ricostruire l'aspetto dei territorio; quindi restiamo nel campo delle ipotesi.
I Serio con ogni probabilità si confondeva con il lato orientale dei lago e scendeva un tempo direttamente a sud sino a sfociare in Adda a Pizzighettone anziché a Montodine; il nuovo corso è stato aperto anche per opera dell'uomo all'inizio dei nostro millennio. Sono state fatte molte supposizioni sull'assetto territoriale dei cremasco e sull'origine dei lago Gerundo. La più ragionevole sembra quella che indica che il lago si sia formato dall'apporto di numerosissime risorgive naturali ( che successivamente sarebbero diventati fontanili) nella zona settentrionale, poco più a nord dell'attuale confine tra la provincia di Bergamo e quella di Cremona, all'altezza di Pontirolo Vecchio, al passaggio cioè dalla alta alla bassa pianura. L'acqua che andava accumulandosi allagando le aree più basse, trovava naturale via di sfogo nel Serio che ne costeggiava la parte orientale o nell'Adda scavandosi passaggi nei terrazzi meridionali (le fughe). L'ipotesi che il lago Gerundo fosse formato da straripamenti dell'Adda durante le piene lascia perplessi. Il letto dell'Adda è infatti da secoli ad un livello nettamente più basso dei territorio cremasco. Non si può comunque escludere che vi fossero delle connessioni tra fiume e lago soprattutto nella zona settentrionale.
Reperti archeologia, ad esempio a Rovereto, indicano che gli attracchi per le barche si trovavano a nord dei paese, e quindi sulla sponda dei lago, e non a sud verso le paludi dell'Adda. Ciò sembra indicare che la via d'acqua preferenziale e di più sicura navigazione per gli abitanti dei paesi "meridionali" era il lago che, tra l'altro, li poteva mettere in comunicazione diretta con il centro più importante: Crema.
Credo che si possa parlare di foreste e non di boschi accettando il primo termine come un insieme di piante arboree cresciute in modo spontaneo e con il secondo quello di una foresta più o meno maneggiata dall'uomo sino ad essere costituita da una sola specie, come è il caso degli attuali Foreste dunque con alberi che potevano crescere su suoli più o meno intrisi d'acqua, almeno per buona parte dell'anno. Querce, pioppi bianchi e pioppi neri, ontani, frassini, olmi, aceri e tigli la facevano da padroni. Ma erano soprattutto le querce ed i frassini i giganti di queste nostre antiche foreste. Qualche radura si apriva là dove un forte temporale aveva avuta la meglio abbattendo anche gli alberi più grandi.
E veramente immense dovevano essere le querce se si pensa che nell'estate dei 1976 una magra eccezionale dell'Adda ha riportato alla luce delle piroghe (poi datate 800 d.C.) scavate a mano in un tronco di quercia lunghe più di 9 metri e larghe un metro. Si possono vedere ancora al Museo Sant'Agostino di Crema. Erano barconi pesantissimi che potevano però trasportare sia uomini che materiale. Probabilmente le barche che attraversavano il lago Gerundo erano molto più piccole e maneggevoli, ma non ne è rimasta traccia. Possiamo solo immaginare delle zattere costruite con tronchi legati tra loro o barche ancor più leggere, fatte con fasci di giunchi strettamente legati che sostenevano benissimo unuomo che le spingeva con una pertica. Simili imbarcazioni erano ancora usate sino a qualche anno fa nelle paludi della Sardegna occidentale eancor prima, in quelle della Maremma toscana.
La foresta dava agli abitanti legname da costruzione, da ardere, ma ben poco da mangiare. Si poteva catturare un cervo, un capriolo o un cinghiale, ma erano prede difficili con i mezzi di allora. I frutti della foresta erano ben pochi e poco conservabili. I primi abitanti dei Gerundo meridionale, quindi dei nostri paesi, dovevano strappare alla foresta e all'acqua pochi appezzamenti di terra su cui coltivare un po' di frumento, dell'avena e dell'orzo e qualche ortaggio. Mais, patate, fagioli, pomodori, melanzane sarebbero giunti in Europa solo dopo il 1500! L'allevamento di qualche maiale, di qualche capra e pecora e forse di qualche vacca lasciata pascolare nella foresta costituiva il patrimonio zootecnico di quel tempo. Sempre che qualche orda di predoni o di soldati non facessero piazza pulita di tutto.
Ma la foresta aveva altre funzioni molto importanti. Se ben conosciuto, era luogo dove poter fuggire e nascondersi in caso di invasioni. I più grandi alberi, querce e soprattutto frassini, assumevano significati di primaria importanza. Non erano solo punti precisi di incontri, ma luoghi di culto pagano. Forse perché unici testimoni viventi dei susseguirsi delle generazioni umane venivano ad esse attribuiti poteri sacri e magici che, in quelle società, avevano funzione di forza di coesione: veri templi viventi. Il frassino è stato sempre considerato l'unione tra il cielo, sede degli dei, e la terra abitata dagli uomini, così come la quercia il simbolo della forza. Anche essenze molto più modeste, come ad esempio il sanguinello (Sanguen) con i cui rametti le streghe facevano le bacchette magiche, assumevano grande importanza religiosa. Per non parlare poi delle piante medicinali, o presunte tali, i cui effetti erano sempre attribuiti a poteri magici. Non ci si può quindi stupire se, per gli uomini d'allora, questi ed altri alberi erano abitati da fate, folietti, spiriti buoni (piante medicinali) e spiriti maligni (piante velenose).
Una traccia di questo intimo rapporto tra le popolazioni e l'ambiente, ma soprattutto in riferimento ai grandi e quasi eterni alberi, la troviamo nei nomi di alcuni nostri paesi: Rovereto (da rovere), Abbadia Cerreto (da Cerro -una quercia ormai quasi scomparsa nel nostro territorio-), Cornaleto (da Corniolo).
Le grandi paludi, il lago ed i fiumi, anch'essi con i loro abitanti magici che tutto governavano, davano all'uomo i principali mezzi di sostentamento. Pesci, molluschi, rane ed uccelli acquatici erano molto più facili da catturare che cervi o cinghiali. Una pianta acquatica, la castagna d'acqua, un tempo molto diffusa, aveva frutti commestibili; canne e giunchi erano la materia prima, sempre pronta fuori dall' uscio di casa, per riparare il tetto o rinforzare le pareti.
Tra il 1200 ed il 1300 iniziò la prima lenta, ma profonda trasformazione dei nostro territorio. Gli artefici di questa trasformazione furono essenzialmente i monaci la cui sede fortificata più vicina al nostro territorio fu Abbadia (= Abbazia) Cerreto. Il loro lavoro fu essenzialmente di bonifica, il che voleva dire convogliare le acque che scorrevano libere sul territorio di pianura, in fossi, rogge e canali. Non vi erano certo né ruspe né alcun mezzo meccanico ed il lavoro, tutto fatto a mano, fu lento. Poteva a volte essere interrotto, magari per qualche decennio, per qualche guerra o carestia, per essere poi ripreso. Il risultato fu che aree sempre più vaste di palude furono abbandonate dalle acque che venivano convogliate nei canali e portate verso i fiumi che scorrevano a quote più basse rispetto al piano di campagna invaso dalle acque delle risorgive. Ciò significava due cose: la conquista di territori coltivabili ed un controllo "politico" dei territorio (basti pensare come le foreste paludose dei Vietnam abbiano ;contribuito in modo determinante alla sconfitta dei potente esercito americano). Restavano tuttavia molte aree paludose sparse qua e là e soprattutto il lago Gerundo. Fu la trasformazione delle risorgive in fontanili a dare l'avvio alla bonifica di quest'ultimo. La dove erano presenti le risorgive venivano scavati canali per convogliare l'acqua in rogge più grandi e nel punto in cui l'acqua sgorgava naturalmente dal suolo sì apriva uno scavo dì poco più profondo (la testa dei fontanile). Decennio dopo decennio si conquistavano nuovi territori agricoli. Inoltre i canali artificiali non erano solo strutture di ingegneria idraulica per bonificarele terre sommerse, ma anche preziosi strumenti che portavanoacqua per l'irrigazione durante i periodi caldi e siccitosi estivi. Ilterritorio durante questo periodo cambia gradatamente aspetto. Seppur lentamente la foresta viene sacrificata per lasciar spazio alle terre coltivate.
Al Medio Evo succede il periodo rinascimentale; le città richiedono sempre più legname per la costruzione di palazzi e chiese, ed anche nei piccoli paesi le casupole fatte prevalentemente di canne palustri e fango sono sostituite con le prime abitazioni in cui le grandi travi di legno sostengono portici, fienili, stalle. E' la foresta che fornisce il legname richiesto. Nelle aree asciutte si incomincia a coltivare viti, in quelle umide o irrigue si vanno delineando i prati stabili da sfalcio alternati ad appezzamenti a cereali. A ridosso di Crema sorgono le prime ortaglie: è la città più ricca che richiede verdura fresca, ed ancora una volta sono i canali irrigui che ne permettono la coltivazione. E' in quest'epoca, a partire dal 1500, che iniziano le prime opere di "tagli" e regimazione dei fiumi, vere grandi opere di ingegneria idraulica. Anche i fiumi dunque, come elementi essenziali dei territorio, cambiano aspetto se non addirittura corso, ad opera dell'uomo.
"Nella seconda metà dei 1700 un elemento nuovo si inserisce nel nostro territorio: le marcite. L'acqua derivata dai fontanili è, durante i freddi mesi invernali, relativamente calda e facendola scorrere in modo regolare sui prati stabili. opportunamente sistemati ad "ali", si riesce ad avere un primo sfalcio di erba fresca fin dai primi giorni di marzo. Inizia l'epoca della nascita e dello sviluppo delle grandi aziende zootecnico-cerealicole. Le marcite, numerose soprattutto nella parte settentrionale dei territorio cremasco, furono presenti, come molti di noi ricordano bene, anche nell'area di Moscazzano ed ebbero un importante ruolo sia economico che ambientale. Duranti i gelidi mesi invernali non erano mai gelate e la neve scompariva nel giro di poche ore; le marcite diventavano ideali oasi di sosta e di pastura per uccelli migratori.
L'affarmarsi delle marcite coincide con l'istituzione dei catasto di Maria Teresa d'Austria. Si tende sempre più a dare forma regolare agli appezzamenti di terreno delimitati dalle canaline di irrigazione e circondati da filari di alberi. E' in quest'epoca che il territorio assume l'assetto che ancor oggi conosciamo. Ogni campo è catalogato con un numero (mappale), ma rimane pur sempre, ed ancor oggi è normalmente usato, un nome proprio per ciascun terreno. Anche i canali, le rogge, i fontanili sono chiamati per nome, a volte nomi che affondano probabilmente le loro origini in qualche elemento, magari poi scomparso, che li identificava e che era noto a tutti. Questi nomi, a beri saperli leggere cercando con pazienza di risalire nel passato, ci potrebbero raccontare la storia dei nostro territorio. Ed è ancora in questo periodo che si incominciano a perfezionare le regole che governano la gestione delle aste maestre e dei singoli bocchelli per l'irrigazione dei singoli mappali sino a giungere a quelle che ancor oggi sono utilizzate. L'ultimo lembo dei lago Gerundo, i Mosi di Vaiano, è bonificato verso il 1920.
Negli ultimi decenni il nostro territorio ha subito ulteriori profonde modifiche sotto la spinta di nuove richieste dei mercato che da mercato locale si è sempre più ampliato sino mercato "globale".
Le aree ancora occupate da foreste, o almeno a quanto restava di esse alla fine dell'ultima guerra, sono state sempre più velocemente trasformate in coltivazioni di pioppi per la richiesta di celluiosa, di legno da compensato e truciolare. I filari alberati e le siepi a confine dei singoli terreni sono sostituita da soli pioppi od eliminati. Anche le zone golenali dell'Adda e dei Serio sono state messe a coltura di pioppi tanto che le grandi querce un tempo abbondanti oggi sono ridotte a pochi esemplari come quelli che si possono ammirare a nord di Moscazzano. L'ultima area paludosa a sud di Moscazzano (il lac) viene bonificato. Le uniche aree occupate ancora da boschi misti sono mantenute tali per potervi cacciare; la caccia, un tempo sostegno primario per la sopravvivenza, è divenuto divertimento che viene pagato, in alcuni casi come per la Zerbaglia, con la rinuncia al reddito agrario. Il legname da costruzione è importato, per il riscaldamento o per cucinare si usa metano che giunge sin dalla Siberia. Sulla nostra tavola giungono prodotti da tutto il mondo; sempre meno quelli nostrani.
La rivoluzione verde degli anni '60 frutto principalmente della fisiologia vegetale, della genetica e della chimica (introduzione di nuovi ibridi altamente produttivi, largo uso di fertilizzanti e di pesticidi) ha fatto aumentare la produzione unitaria sino al 200%. Le tecniche di conservazione dei foraggi -studiate dai microbiologi- hanno reso inutili o comunque troppo costose le marcite che nel giro di pochi anni sono scomparse. La meccanizzazione sostituisce il lavoro animale ed in gran parte quello umano. Il 98% della produzione agricola dei nostro territorio non è utilizzato per il diretto sostentamento umano, ma per la produzione zootecnica.
Questi in sintesi i fattori che hanno contribuito alla realizzazione dell'ultima trasformazione del nostro territorio.
E' stato, nel nostro caso, l'uomo (non si vuole dare un giudizio di merito o di demerito) a compiere la trasformazione dei territorio da una "foresta umida mista di latifoglie" all'attuale "steppa artificiale cerealicola".
L'inquinamento, soprattutto idrico, e la forte diminuzione della complessità ambientale sono le conseguenze negative dell' uso delle nuove tecnologia.
Una delle grandi ricchezze dei nostro territorio è l'acqua; si è già avuto occasione di farne cenno. Le sostanze chimiche usate in agricoltura, nelle industrie e nelle nostre case, hanno progressivamente alterato la qualità delle acque di superfici, percolando poi nelle acque di falda sempre più profonde. Si tratta nella quasi totalità di sostanze tossiche ,per gli esseri viventi sia vegetali sia animali, uomo compreso. La loro tossicità dipende fondamentalmente dalla loro concentrazione che anche senza raggiungere livelli letali, può alterare le funzioni fisiologiche dei viventi; concentrazioni di metalli pesanti mille volte inferiori a quelle letali possono dimezzare l'attività fotosintetica e la respirazione di molte piante anche di interesse agrario e quindi la loro produzione.
Alcune specie sono più sensibili all'inquinamento di altre e la loro presenza diminuisce progressivamente sino a che esse, almeno nel nostro territorio, scompaiono. Molti di noi hanno potuto osservare che ad esempio lucertole, rospi, rane, libellule, rondini ecc. sono drasticamente diminuiti. Chi frequenta l'Adda o il Serio può aver constatato che anche alcune popolazioni di pesci, ad esempio le sanguinarole (sanguanì), sino a pochi anni fa numerosissime, sono totalmente scomparse. Si potrebbe f are un lungo elenco di piante spontanee o di insetti che hanno subito la stessa sorte. Tutto questo ,significa una netta diminuzione della complessità ambientale, aspetto naturalistico che tutti gli studiosi sono concordi nel definire la caratteristica più preziosa di una comunità di viventi. Ogni organismo ha un suo ruolo nella comunità anche se alcuni di essi, in realtà una piccolissima minoranza, possono interferire con la produzione agricola o con la comodità della nostra vita. Lo sforzo per favorire il recupero della complessità ambientale può essere ampiamente ripagato con minori costi della gestione territoriale. Questo sia dal punto di vista agricolo che da quello, più ampio, della qualità della vita.
Vorrei infine ricordare due fatti accaduti nell'ultimo decennio che ci hanno coinvolto. Il primo è stato la forte coesione di tutta la popolazione di fronte alla minaccia della costruzione di un grande inceneritore e di un fasullo canale navigabile Cremona-Milano, coesione che ha di fatto bloccato i progetti. Il secondo la costituzione di due parchi: quello dei Serio e quello dell'Adda, Il primo fatto è stato indubbiamente il segnale più forte che si poteva immaginare di fronte alla minaccia di un'invasione dei territorio e di un suo stravolgimento. Segnale che è scaturito dalla coscienza collettiva dei valore intrinseco dei proprio territorio che può accogliere ed integrare uomini anche giunti da lontano, ma che costituisce per i suoi abitanti un bene fondamentale ed irrinunciabile nella sua integrità.
Il secondo, certamente modificabile e migliorabile nella sua regolamentazione, è stato dettato da un'esigenza della società, come richiestasia di "ambiente naturale (o quasi)" usufruibile nel tempo libero. incontrapposizione con quello urbano / sia come fatto culturale: desideriodi conoscenze naturalistiche dirette. In altre parole si è aperto unnuovo mercato che offre, in risposta ad una domanda, l'uso dell'"ambiente". Per il nostro territorio tutto questo è un fatto nuovo, che non va ignorato o sottovalutato, anzi. Il nostro territorio, così come oggi lo abitiamo, è frutto di un lungo, paziente e tenace lavoro dell'uomo. E' ancora l'uomo che, con una nuova visione della gestione dei territorio, può dare una risposta a questa nuova domanda dei mercato, che implicherà ricadute economiche importanti.
Far ipotesi sul futuro assetto dei nostro territorio è quasi fantascienza: come per il passato, sarà ancora l'uomo con le sue scelte ad avere un peso determinante.
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